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Un ingrediente che… gonfia!

Sapete che cos’è il lievito? Non ci crederete ma è… un fungo!
No, non un fungo come quelli che si raccolgono nei boschi e si mettono nel risotto… è un fungo molto, molto più piccolo, che si vede solo al microscopio perché è un organismo unicellulare, cioè formato da una sola cellula.

Come tutti gli esseri viventi, anche i lieviti devono nutrirsi, cioè trovare il necessario per ricavare energia e poter vivere. Un organismo formato da una sola cellula non ha una bocca, direte voi. E allora come fa a “mangiare”? I lieviti ricavano l’energia necessaria a vivere e riprodursi consumando gli zuccheri.
E durante questo processo producono una cosa che diventa importante quando noi prepariamo pane e dolci: un gas, il diossido di carbonio, che fa aumentare il volume dell’impasto con tante bollicine e che poi con il calore della cottura nel forno si espande ancora di più facendo diventare il dolce o il pane bello gonfio e soffice.

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Lieviti al microscopio.

Vuoi vedere con i tuoi occhi che il lievito produce un gas? Prova a fare l’esperimento!


Photo credit: Ah Pao / Foter.com / CC BY-NC-SA

Il cioccolato cresce sugli alberi!

Non è proprio come dice il titolo… ma è vero che il cioccolato si ricava da una pianta, che si chiama Theobroma cacao. L’albero del cioccolato può essere alto fino a 12 metri ed è originario dell’America Latina. Oggi viene coltivato anche in altre parti del mondo, come in Africa e in Asia, sempre in climi tropicali.
I paesi africani come la Costa d’Avorio e il Ghana oggi sono i maggiori produttori di cacao del mondo.
Sulla pianta del cacao nel periodo della fioritura compaiono tantissimi piccoli fiori a cinque petali bianchi o rosa. Quando si formano i frutti, sulla pianta si osservano dei grossi “palloni” chiamati cabosse, che ricordano un po’ i meloni e che contengono dei piccoli semi o fave.

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Se vuoi saperne di più sul cioccolato e sulla sua produzione, leggi anche qui e scopri i Musei del Cioccolato qui


Photo credit: dinesh_valke / Foter.com / CC BY-NC-ND

I musei del cioccolato

In Italia:

A San Sisto (Perugia), il Museo Storico Perugina offre la possibilità di scoprire la storia del cioccolato e della sua produzione, con filmati e esposizioni.
Info: 075/5276796.

A Perugia si svolge annualmente anche la manifestazione Eurochocolate

https://www.perugina.it
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A Frossasco (5km da Pinerolo e 30km da Torino), si può visitare la sezione dedicata al cioccolato del “museo del gusto”.
Info: http://www.museodelgusto.it/

Sempre in Piemonte, a Torino, si può prenotare una visita guidata a una fabbrica di cioccolato.
Info: http://www.turismotorino.org
resguide@turismotorino.org

Anche a Norma (Latina) c’è un museo del cioccolato, dove è stata ricostruita anche un’antica fabbrica del cioccolato con macchinari originali e si può gustare il prodotto alla Fonte del Cioccolato!
Info: http://www.museodelcioccolato.com

Altre informazioni utili per itinerari dedicati cioccolato in Italia sul sito di “Città del cioccolato”.

All’estero:

In Svizzera, a Caslano-Lugano, si può visitare il museo Alprose.
Info: http://www.alprose.ch

In Germania, a Colonia, un altro interessante museo del cioccolato.
Info: http://www.schokoladenmuseum.de

Photo credit: © Archivio Museo Storico del Cioccolato Perugina

Dov’è l’albero di Natale più grande?

Marco chiede:

Dov’è l’albero di Natale più grande?


Froggy risponde

L’albero di Natale più grande del mondo… non è un albero! È un “disegno di luci” a forma di albero che viene acceso a Gubbio, una città dell’Umbria. È formato da quasi mille luci e viene allestito su un monte che si trova alle spalle della città, il monte Igino. Il disegno dell’albero è largo 450 metri e alto 750. L’albero di Gubbio è entrato nel Guinnes dei Primati! Per saperne di più clicca qui

Froggy

Vuoi fare una domanda a Spinny e a Froggy?

Scrivici a questo indirizzo: info@chescienza.com

Che figura da cioccolataio!

Come sicuramente sapete, soprattutto se avete assaggiato i deliziosi gianduiotti o il “bicerin” (bevanda calda a base di cacao, caffè e crema di latte), Torino è una città famosa per l’industria del cioccolato, ed è la principale città italiana per la sua lavorazione: pensate che se ne producono ben 85 mila tonnellate ogni anno!

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Nel 18° secolo, in questa città è accaduta una cosa che ha dato origine a un comune modo di dire: fare una figura da cioccolataio, che vuol dire comportarsi in modo da fare cattiva impressione.

Si racconta che l’origine di questo modo di dire sia legata a un aneddoto.

Un giorno, nel 1828, un uomo della borghesia torinese, che era diventato molto ricco grazie alla produzione di cioccolato e cioccolatini, osò arrivare a un importante evento cittadino a bordo di una carrozza molto più bella e lussosa di quella del re, Carlo Felice di Savoia!

Secondo alcuni, il detto si diffuse perché il popolo iniziò a mormorare che il re aveva fatto la figura del cioccolataio. Secondo un’altra versione, fu lo stesso re a dare origine al modo di dire, commentando l’accaduto e rimproverando il responsabile dell’affronto con una frase che suonava più o meno così: “Il re non può essere scambiato per un cioccolataio!”.


Photo credit: raffaelebrustia / Foter.com / CC BY-NC-SA

Viaggio al centro del cioccolato

Che cosa rende il cioccolato così buono? La qualità degli ingredienti è fondamentale, ma gran parte del merito va a quello che del cioccolato… non si vede!

Se potessimo osservarne un pezzetto con uno strumento potentissimo, capace di scovare anche l’invisibile, vedremmo tantissimi cristalli di zucchero e burro di cacao (la parte “grassa” del cioccolato), organizzati in reti fittissime e complicate.
Un’indagine impossibile, dite? Niente affatto: i chimici ci sono riusciti e hanno scoperto che è proprio nel modo in cui si dispongono questi cristalli che si nasconde il segreto della bontà del cioccolato.

Grazie a questi studi, oggi sappiamo che il cioccolato ha ben 6 forme, ciascuna responsabile di un particolare sapore. Ma attenzione, non stiamo parlando della forma della tavoletta, ma della forma più “profonda” del cioccolato, quella che – usando un parolone – chiamiamo struttura molecolare.

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La forma numero 5 è quella preferita dai pasticceri, per via del suo sapore delizioso, dell’aspetto lucido e invitante e della sua consistenza; in questa forma, infatti, il cioccolato si scioglie letteralmente in bocca (e non in mano!). I maestri cioccolatieri riescono a ottenerla grazie a un particolare procedimento, chiamato “tempera” (o “temperaggio“), che non si fa con il temperino delle matite, ma facendo passare il cioccolato attraverso temperature differenti, fino a renderlo brillante e omogeneo.

Attenti invece alla forma numero 6: è quella tipica del cioccolato “dimenticato” in dispensa e si riconosce facilmente dalla patina biancastra che si forma sulla tavoletta. In questo caso, non solo l’aspetto, ma anche il sapore peggiora molto: meglio non mangiarlo!


Illustrazioni: Daniela Alvisi

Pigne per tutti i gusti

Le pigne sono strutture a forma di cono, dure e legnose, con una parte centrale e tante squame che, quando si aprono, lasciano cadere i semi contenuti all’interno. Se vuoi fare bella figura, quando trovi una pigna puoi annunciare di aver trovato uno strobilo: in botanica, la scienza che studia le piante, è questo il suo vero nome!

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Gli alberi di Natale in genere sono abeti, conifere tipiche delle zone di montagna. Ma sapevi che ne esistono due tipi? L’abete rosso o peccio (Picea abies) ha pigne che “penzolano” dai rami, sono verdi e poi diventano marroni e cadono sul terreno. L’abete bianco (Abies alba) ha le pigne che restano diritte sui rami e si sfaldano facendo cadere solo le squame e i semi, quindi le pigne di questi alberi non si trovano per terra intere.

Le grosse pigne che si usano per fare le decorazioni, di forma tondeggiante, appartengono invece a un’altra conifera, il pino domestico (Pinus pinea), che forse ti è capitato di vedere quando vai al mare. I semi di queste pigne grandi sono i pinoli, che si mangiano e si usano per fare il pesto (slurp!).


Photo credits: Bottlesplus / Foter.com / CC BY-NC

Brina fatta in casa

Vuoi osservare la brina da vicino, ma restando in casa al calduccio? Con pochi materiali e un po’ di pazienza ci riuscirai. Vediamo come!

Occorrente
- una lattina vuota
- ghiaccio
- sale da cucina
- un sacchetto da freezer
- un piccolo mattarello
- un cucchiaino

 
Brina fatta in casa

Procedimento
- metti il ghiaccio nel sacchetto e chiudilo con l’apposita fascetta (o con un nodo)
- passa il mattarello sul sacchetto per tritare il ghiaccio; cerca di ottenere dei pezzettini piccoli
- con il cucchiaino riempi la lattina a strati: uno di ghiaccio, uno di sale, un altro di ghiaccio e così via, finché non è piena
- attendi un po’ e osserva…

 
Sulla parte esterna della lattina si formerà… la brina! Perché?
Il sale, a contatto con il ghiaccio, lo fa sciogliere. Affinché questo accada, però, serve energia sotto forma di calore. Il calore necessario viene “rubato” all’ambiente che sta intorno, a iniziare dalla superficie della lattina che, di conseguenza, si raffredda. Diventa talmente fredda che l’umidità presente nell’aria, scontrandosi contro la lattina gelida, congela! Ecco allora che si forma la brina.

Suggerimento
La brina tarda a formarsi? Forse l’aria nella stanza è troppo secca. Prova a soffiare sulla lattina; l’umidità del tuo fiato velocizzerà il tutto.

A proposito…

Ricordi? Avevamo già visto le strane proprietà del sale in questo esperimento.


Scrivici all’indirizzo info@chescienza.com e raccontaci cosa hai osservato. Se hai dei dubbi o delle domande, scrivici lo stesso; proveremo a risponderti nella pagina Domande&Risposte.


Illustrazione: (C) Daniela Alvisi

Perché dentro gli igloo non fa freddo?

Giulia chiede:

Perché dentro gli igloo non fa freddo?


Spinnyrisponde

Gli igloo, le tipiche case a cupola che ancora si costruiscono al Polo nord, sono fatti di “mattoni” di neve che, grazie all’aria che contengono, formano una “barriera termica” che impedisce al calore di disperdersi all’esterno. Ma chi produce questo calore, se dentro l’igloo non ci sono né stufe né caldaie? Ci pensano gli abitanti, con il loro naturale calore corporeo! Per raggiungere una temperatura interna di almeno 15 gradi (che al polo Nord si può considerare decisamente confortevole) bastano due persone e, naturalmente, più si è e meglio si sta. Per secoli, queste ingegnose casette hanno permesso agli Inuit di sopravvivere al clima rigido dell’Artide; oggi si usano di meno e, di solito, per periodi limitati dell’anno.

Spinny

Vuoi fare una domanda a Spinny e a Froggy?

Scrivici a questo indirizzo: info@chescienza.com

Un freddo… cane

Quando fa tanto, ma tanto freddo si dice che fa un freddo cane (o “un freddo da cani”). Sapete perché? Perché i cani, in passato, non avevano il permesso di entrare nelle case, ma restavano sempre fuori a fare la guardia, con qualunque tempo e anche se faceva, appunto, molto freddo. La loro resistenza alle basse temperature li ha così legati alla parola freddo in questo modo di dire molto comune.

Photo Credit: Roby Ferrari / Foter.com / CC BY-SA

Lo sapevi? Anche in inglese i cani entrano in un modo di dire… meteorologico! Quando piove molto forte si dice it’s raining cats and dogs (cioè “piovono gatti e cani”). Il motivo non è certo, ma si pensa che questo detto popolare sia legato alle divinità della mitologia nordica, e in particolare a Odino, che veniva raffigurato insieme a cani e lupi, simboli del vento. I gatti invece per i marinai erano presagi di tempeste e forti piogge perché erano associati alle streghe. Secondo un’altra teoria, l’espressione inglese deriverebbe invece dal greco cata doxa che significa “contrario all’esperienza”, cioè strano, inusuale, come le piogge torrenziali.